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L'UOMO CHE NON C'ERA
(THE MAN WHO WASN'T THERE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 20 marzo 2002
 
di Joel e Ethan Coen, con Billy Bob Thornton, Frances Mc Dormand, James Gandolfini, Katherine Borowitz, Scarlett Johansson (Stati Uniti, 2000)
 
Conoscevamo la deliziosa, impareggiabile sregolatezza dei fratelli Coen. Ma il genio, quello che è sempre più assente dal cinema americano degli ultimi anni, è fatto anche di rinnovamento. E dello sconcerto, della sorpresa causata in noi spettatori abitudinari da quel rinnovamento.

Non è che da L'UOMO CHE NON C'ERA sia scomparsa - anzi - la maliziosa assurdità dei capolavori precedenti, l'irriverenza sfrontata di THE BIG LEBOWSKI, la logica del paradosso di FARGO, o le risonanze poetiche del fantastico dell'opera che più si avvicina a questa, BARTON FINK. Ma è ormai chiaro (dopo la parentesi brillante ed un po' incerta di O'BROTHER) che, dopo la perfezione assoluta di quei momenti, il cinema dei fratelli doveva evolvere. Ed ecco, allora, un falso poliziesco, com'era già stato MILLER'S CROSSING: ma costruito stavolta su quei tipici anti - eroi che erano i personaggi di James M. Cain. Ecco questo suo incredibile parrucchiere (vogliamo scommettere che la creatura dello straordinario Billy Bob Thornton verrà citata in tutte le future antologie sulla settima arte?): silenzioso, apatico, ripiegato su sé stesso fino alla completa inutilità familiare e sociale. Uno dei soliti, un po' strambi e balordi, dei Coen: ad inventarsi l'altrettanto solito ricatto, destinato a rivoltarglisi contro, e contro la logica del racconto.

Ambientato e filmato con una maestria che sposa i modelli dei film degli anni Quaranta fino nella grana della fotografia, L'UOMO CHE NON C'ERA non è, quasi ovviamente, un esercizio di stile, e nemmeno un clono ironico e satirico. E' un film come quel 1949 al quale costantemente si riferisce, l'anno della prima atomica sovietica, l'inizio di un'era di inquietudini, la fine delle illusioni appena rinate. Un film come quel commento monocorde in prima persona che l'accompagna, come le risonanze cosmiche delle sonate di Beethoven che ritornano incessantemente, come quel suo protagonista che incombe sul film e lo trascina inesorabilmente. L'UOMO CHE NON C'ERA non si affida, come altri dei due registi, come un "noir" che non è, ad una meccanica drammaturgia: ma all'itinerario - introspettivo come mai era stato in tutto il cinema dei Coen - del personaggio. Il loro solito uomo qualunque, che s'inventa un destinalo scombiccherato: ma, ancor più del solito, terribilmente inserito nella storia, nella psicologia del proprio Paese.

Come in BLOOD SIMPLE, le peripezie dell'incredibile parrucchiere sono sconsiderate, amorali e dissacrate. Ma nel solito distacco scanzonato, a tratti ferocemente satirico e, perché no, comico, con il quale gli autori le hanno descritte, c'è una inquietudine inedita, un'angoscia a tratti cupa che si insinua fra le immagini. E' quella del fallimento: in un film sulla manipolazione, sull'opposizione fra il cuore e la ragione, nessuno si salva. Non certo il marito che impazzisce di gelosia e decide di assoldare un sicario per eliminare la moglie e l'amante. Ma nemmeno i due amanti che diffidano non soltanto del mondo che li circonda, ma anche di loro stessi, in una corsa precipitosa in avanti che li avvia in una sconsolata spirale di perdizione. Agire nel rispetto della verità e dei buoni sentimenti non giova mai ai protagonisti del film; ed è nell'inganno e nel tradimento che si compie il loro destino.

Doppio fallimento: materiale, perché il tentativo dell'individuo emarginato di rientrare nella società grazie ai soldi finirà fatalmente nella solita, tragicomica beffa. Ma, più ancora, spirituale: poiché la giovane pianista (Lolita straniante, lunare, indimenticabile; anche se appena abbozzata) al sostegno della quale affiderà le sue ultime chance di sopravvivenza si rivelerà buona per diventare, al massimo, un'onesta dattilografa.

Ironico, trasgressivo ma ora anche sconsolato, il film dei Coen avvicina allora quello che è stato il grande tema di uno dei maestri del cinema moderno, Stanley Kubrick: l'impossibilità, per l'uomo di più o meno…) buona volontà di accedere ad una classe sociale, ad una condizione morale superiore.

Nel loro film più diverso e inatteso, indubbiamente rischioso e, forse, non privo di qualche smagliatura (i finali che sembrano cercarsi ed accavallarsi, dopo un film dalla lentezza quasi solenne ed accorata) Joel e Ethan Coen compongono magistralmente sul tema eterno della cultura americana: quello di un Sogno che, inserito nella spirale inarrestabile della modernità appare sempre più disumano. Sempre più fuori dalla portata di quell'uomo qualunque, di "quell'uomo che non c'era" al quale era pur sempre destinato.


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